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🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || Il mare più bello: “5 Vele” per Pantelleria

Pantelleria ripete il primato delle 5 vele anche quest’anno: «Il mare più bello» Acque cristalline e una gestione sostenibile del territorio. Ecco  Il mare più bello . La classifica più attesa dell’estate: tutte le località balneari premiate con le Vele di Legambiente e Touring Club Italiano. Spiagge indimenticabili, acque cristalline, escursioni, passeggiate, luoghi d’arte che meritano una visita speciale, eccellenze enogastronomiche. Tutto amabilmente intrecciato ad una gestione sostenibile del territorio ea un’offerta turistica di qualità . Da oltre vent’anni  “ Il mare più bello” , la Guida Blu di Legambiente e Toring Club Italiano , stimola e orienta le villeggiature di quanti preferiscono scegliere la propria meta estiva all’insegna della responsabilità e della qualità ambientale, offrendo al lettore un quadro su quanto di buono fanno le amministrazioni locali costiere lungo la nostra penisola per essere all’altezza delle sfide imposte dalla crisi ambientale planetaria. Tante pratiche concrete sulle quali cominciare a cambiare le sorti del Pianeta , premiate nella Guida con il vessillo delle Vele . Ecco dove il mare è più bello a Pantelleria Nikà Uno dei luoghi più suggestivi dell’isola raggiungibile da mare e da terra che merita una particolare attenzione perché dall’insenatura sotto il costone sgorga dagli scogli una sorgente di acqua termale. La temperatura dell’acqua, che subito si mescola con quella del mare, raggiunge i 70 C. L’acqua scorre anche in piccole vasche naturali delimitate da scogli, nelle quali è possibile immergersi e godere le virtù terapeutiche. Cala Cinque Denti Trattasi di un piccolo golfo riparato dal vento di scirocco ove trovano riparo molte barche quando c’è il mare mosso. Raggiungibile parcheggiando in uno spazio sulla perimetrale e poi scendendo dall’altra parte della strada per un sentiero molto scosceso, oppure con un percorso più lungo che parte dal faro di Punta Spadillo e passa per il Laghetto delle Ondine . Il mare è limpido con fondali interessanti per lo snorkeling, blu e azzurro si fondono. A nuoto si raggiunge un luogo incantato la famosa “Scarpetta di Cenerentola”, un gola a forma di “scarpetta” ove il sole che entra crea colori da fiaba. Cala Gadir Il suo nome, di origine araba, vuol dire “conca d’acqua”. Si tratta di un piccolo e delizioso villaggio a forma di semicerchio sul mare, simile a un borgo marinaro .Le sue sorgenti di acque termali pare siano stati i punici a scoprirle e oltre a essere note per le proprietà terapeutiche dell’acqua, di notevole interesse è anche l’alga che nasce spontaneamente sulle pareti delle vasche, indicata per la cura delle vie respiratorie. Di notevole importanza la Buvira, una piccola polla d’acqua salmastra formatasi naturalmente in prossimità della costa, là dove l’acqua piovana, arrivando al livello del mare, si ferma e galleggia su quella marina. Dalla mescolanza dei due liquidi, intrappolati nella cavità della roccia, si forma una vena di acqua salmastra, più dolce in superficie e più salata in profondità. E’ sede del più importante diving dell’isola (DiveX,)  guidato da Eddy e potrai fare una esperienza unica. visitare un museo archeologico subacqueo naturale, anfore per lo più di origine punica, due relitti databili tra il III e il II secolo a.C. e molto altro.  Bue Marino E’ il luogo più frequentato per la vicinanza del centro abitato e un parcheggio auto, naturalmente non aspettatevi la sabbia e lasciate paletta e secchiello dove soggiornate. Ha un fondale basso e la discesa a mare è resa più semplice dalla scogliera bassa e liscia, Queste caratteristiche la rendono comoda anche alle famiglie con i bambini. Ciò che  rende particolarmente interessante questa cala è la presenza di una grotta marina, dove si pensa che la foca monaca trovasse riparo durante il periodo della riproduzione. Balata dei Turchi  Un luogo affascinante, mare tra falesie e  boschi mediterranei incorniciano questo luogo incantevole che non puoi mancare di vedere. Si tratta di una suggestiva insenatura incorniciata tra imponenti scogliere alte fino a 300 metri. Il suo nome deriva dall’arabo e vuol dire “lastrone di pietra”, infatti la Balata dei Turchi è esattamente una meravigliosa e ampia piattaforma in pietra che si protrae dolcemente dalle rocce verso il mare. La zona già 7000 anni fà era frequentata dall’uomo per l’estrazione dell’ossidiana. Cala Cottone  Antico porticciolo da dove partivano nell’800 le imbarcazioni con carichi di cotone, una delle attività più redditizie di quel periodo, da qui l’origine del suo nome. Parte in ombra, parte al sole, anche con molto caldo il sentiero non è proibitivo. Una volta raggiunta la caletta, mare come sempre cristallino, poca gente e quindi da preferire. Cala Tramontana  E’ una delle baie più scenografiche dell’isola ed è famosissima per le immersioni per i fondali bellissimi. Insieme a Cala Levante ci regala un’occasione quasi irripetibile: quando il vento soffia da nord ovest le acque di Cala Levante sono calme, se al contrario il vento soffia da sud est, sono calme le acque di Cala Tramontana . Le due cale si fanno scudo a vicenda. Questa cala è adatta anche ai bambini e ai nuotatori poco esperti perché il fondale degrada lentamente e permette l’ingresso in acqua con estrema facilità. Cala Levante Adatto alle famiglie con bambini per il fondale che degrada lentamente è incorniciata, a sinistra, dal Faraglione , che a guardarlo da lontano fa pensare al profilo di una persona che esce dall’acqua, e, a destra, dall’ Arco dell’elefante un faraglione la cui forma è simile a quella di un elefante con la proboscide immersa nell’acqua.  Suwaki Per un tramonto indimenticabile questo è il luogo adatto dove l’ Africa sembra toccarla con un dito che potresti portare questo ricordo nel cuore per sempre.  Caratterizzata da rocce basse e lisce, bagnata da acque cristalline, con un’agevole discesa al mare, è adatta alle famiglie con bambini. Luogo ideale per godervi l’isola in totale relax

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 “Odi e poesie di chi ci ama”

A Pantelleria …E lo sguardo spazia tra cielo, mare e terra. E il cuore si ubriaca di emozioni. Vive l’intero ciclo naturale della natura che qui su questa isola è pregna di energia. Come il nascente sole dall’orizzonte espande i suoi delicati bagliori di colori acquerellati, le membra si risvegliano dal sonno notturno ristoratore e si stirano, pronte per rianimarsi alle meraviglie di un nuovo giorno. …E la mente che scruta i pensieri è sovrastata dal rumore del vento e ripulita dalle impurità dei ritmi cittadini. Qui il silenzio è una giostra di suoni naturali. L’aria sempre in movimento, il contatto epidermico continuo del vento che ti attraversa in ogni direzione, che ti dona nuova vita e ti sussurra nuovi pensieri. E la notte, quando il nero sovrasta il panorama, puntella il cielo di miliardi di stelle, tutte incastonate e brillanti come un caldo e austero mantello che ti avvolge e ti rapisce per la bellezza. Il mare infinito, accogliente e minaccioso nella sua liquidità, come per miracolo, lambisce ogni pezzo di roccia e sostiene questo lembo di terra che galleggia imperioso ed emerge maestoso con tutta la sua forza. Un enorme agglomerato di crateri, un antico gruppo di vulcani che hanno imprigionato nelle attuali rocce tutta la potenza del fuoco. Un arcobaleno di mille colori è racchiuso negli strati di ogni singola fetta di roccia e con esso millenni di storia e di popoli e di culture hanno calpestato ogni singola pietra. E tutta l’energia del fuoco, del vento, dell’acqua, che hanno ingravidato queste rocce di forme di vita, si è trasferita nei frutti della terra che ricoprono l’isola. E mentre raccogli il chicco d’uva dalla pianta che si è fatta strada tra le dure rocce del vulcano e l’assapori, senti nel gusto questo concentrato di energia del fuoco e del sole che hanno plasmato una qualità di frutto assolutamente speciale e unica. Tutto è intenso, il rumore delle foglie, il colore dei fiori, il calore del sole, la durezza delle rocce, la liquidità del mare, la solidità della pietra, l’incatturabile forza del vento. Vivi un turbinio di forti sensazioni che ti annientano, ti rinnovano, ti rinforzano. Ti ricongiungi, nuovamente, anche se per un istante, alla tua vera natura primordiale, che è l’origine della vita. Vieni rimescolato nell’Unità e restituito a nuovo individuo. Hai l’opportunità di attingere dall’unica vera scuola di vita : sei solo con te stesso, ti misuri, ti rivesti da essere con le proprie esigenze di primaria necessità esistenziale, puramente fisiologiche, e poi tutto ciò che è mentale lo lasci purificare, vivificare, lo fai rinascere a nuova vita constatando che ha bisogno soltanto dell’essenziale e che il superfluo è solo un contorno piacevole e se vissuto nell’eccesso ti fa cadere nell’oblio di ciò che veramente siamo. Qui senti come la forza dell’uomo si adatta e collabora con la forza della natura, c’è conoscenza,adattamento, tolleranza per le caratteristiche dell’isola. C’è amore istintivo per la propria terra e senso di protezione ma anche nostalgia di conquista di nuovi lidi. …Ti senti piccolo e dominatore… Un puntino collocato nel Mediterraneo e grande, allo stesso tempo, mentre scruti all’orizzonte, lontano dal resto del mondo. Protetto e indifeso. … E tocchi con mano il tuo centro, che è fisicamente, la stabilità del tuo corpo, ma che potrei definirlo come il tuo punto di equilibrio con tutto ciò che ti circonda… . Meravigliosa Pantelleria!! Marisa  –  settembre 2011 Canto di un Maggio….. – di Ginetta Maria Fino Rocce nere Pianto di fuoco antico Lanciato nel mare blu Là tempo,vento ed acqua Dolce han reso L’aspro raffreddamento. Indache gocce Colme di cieli Han posto fra polvere sabbiosa dei secoli Timide violacciocca Forti nel piede. Incanto il manto eruttivo Pietra colta e riposta a proteggere Ulivi,viti e limoni rasenti il terreno. Incantati dammusi in rovina O ripresi rispettando mani lontane millenni Fermando un tempo. Un sogno s’è realizzato Ho finalmente vissuto in Un sito archelogico abitato. Le mani di una donna Giunta in teatro Per cogliere storie di genti e terre lontane Mi ha offerto in dono In sacchetto di pane I simboli della sopravvivenza D’un popolo per millenni: Uva passa e Capperi Maggio 2010 casara, casara, I firminanti pilò, pilò Iddru chiuvia ticineci, ticineci, Iè curria alla birichicca alla biricacca rivà circiuchi, circiuchi.

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || La biodiversità dello “Specchio di Venere”

Il lago di Pantelleria è un laboratorio di biologia a cielo aperto. Nell’ecosistema del tutto particolare realizzato nei millenni da strutture sedimentarie (stromatoliti), di origine biologica che si formano per l’azione dei cianobatteri (batteri fotosintetici) i quali depongono nuove colonie sopra le precedenti tramite un processo continuo che ha portato alla formazione delle coste del lago. Nell’ecosistema del tutto particolare realizzato nei millenni da questi microrganismi, si è insediata una comunità dall’elevato pregio naturalistico in quanto sede di endemismi unici a livello nazionale ed internazionale. L’avifauna migratrice e le stromatoliti silicee Il lago, per la sua posizione lungo le principali rotte di migrazione africana-europea, in primavera e autunno diventa un punto di osservazione naturale dell’avifauna migratrice, la quale vi trova una stazione di riposo e di foraggiamento, rappresentato dai tanti organismi che vivono nelle sue acque. Le sorgenti idrotermali del lago sono caratteristiche per la presenza di comunità di microrganismi e Pantelleria è una delle rarissime sedi al mondo con stromatoliti silicee. Altre sedi di rinvenimento sono Yellowstone (Wyoming, USA) e Bahía Concepción (Baja California Sur, Mexico). Per queste ragioni, passeggiare lungo le coste dello “Specchio i Venere” o “Bagno dell’Acqua” o immergersi nelle sue acque rappresenta un doppio percorso nel tempo e nello spazio. E’ un viaggio nel tempo perché, pur essendosi formato in tempi geologicamente recenti, rappresenta l’istantanea di un paesaggio antichissimo ed arcaico, quando ancora non si erano sviluppati gli organismi pluricellulari. E’ anche un viaggio nello spazio in quanto l’ecosistema del lago di Pantelleria è tale che esso può rappresentare un laboratorio naturale di esobiologia, ramo della biologia che studia la possibilità di vita extraterrestre. (da un articolo di Andrea Biddittu)

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 Ritrovamento di strumento per la raccolta del corallo

Grazie alla segnalazione del responsabile del Diving Club Cala Levante di Pantelleria, Francesco Spaggiari, la Soprintendenza del Mare, guidata da Sebastiano Tusa, ha effettuato nel 2010 un ritrovamento ritenuto “di grande interesse archeologico nelle limpide acque di Cala Levante a Pantelleria”. Ad una profondita’ di circa 23 metri, su un fondale sabbioso e’ stato rinvenuto un elemento a prima vista assolutamente incomprensibile costituito da un trave ligneo inserito in una semisfera di piombo del diametro di circa cm 50. Analizzandolo con attenzione si sono individuati gli agganci al trave centrale di due elementi di ferro ortogonali tra loro posti rispettivamente al di sopra e al di sotto della semisfera di piombo. Ad una prima analisi sembra probabile che si tratti di uno strumento utilizzato per la raccolta del corallo, molto simile alle ”ingegne” o croci di Sant’Andrea utilizzate fino in tempi recenti per la rovinosa raccolta del corallo nei nostri mari. Questo strumento sembra piu’ elaborato poiche’ costituto da un elemento ligneo su cui fusero la semisfera che faceva da peso per fare aderire bene al fondo i bracci incrociati che fuoriuscivano dal trave centrale. Il piu’ antico strumento per la raccolta del corallo Si tratta del piu’ antico strumento per la raccolta del corallo mai rinvenuto nelle acque della Sicilia. Rinvenimenti di simili oggetti sono avvenuti soprattutto in Sardegna e sulla costa mediterranea della Francia. Il rinvenimento conferma l’ipotesi che la ”croce di Sant’Andrea” usata fino in tempi recenti affondi le sue radici in epoca romana o addirittura ellenistica. Il nostro esemplare, tuttavia presenta una maggiore accuratezza nell’esecuzione e potrebbe rappresentare un’evoluzione di epoca tardo romana di quanto era stato precedentemente inventato. Che la raccolta del corallo fosse una delle attivita’ principali nell’economia marittima di epoca romana ce lo afferma con dovizia di particolare anche Plinio.

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 Breve lessico pantesco

“dammuso” indica la casa, l’abitazione. Altra denominazione del dammuso è “locu”, “locu”, voce siciliana, la cui origine palesamente latina, locus, risale al periodo in cui i siciliani, sudditi dell’impero d’oriente, sbarcarono a Pantelleria a seguito dell’occupazione bizzantina. Con questo ultimo termine, locu, si indicava nell’antichità, la casa sita nei centri urbanizzati (Scauri, Tracino, Khamma), mentre con la voce dammuso, si indicava l’abitazione di campagna Due sono i tipi di dammuso: a pietra “rutta” cioè a pietra grezza e lo spessore dei muri va da 1 a 2 metri. a pietra “tagghiata” cioè a pietra squadrata. I dammusi in pietra squadrata, le cui mura hanno uno spessore di 40-90 cm., si trovano negli agglomerati urbani di Khamma, Tracino, Scauri ecc. ed hanno intonaci esterni tinteggiati color pastello o semplicemente imbiancati Nei dammusi rurali lo spessore dei muri va da 1 a 2 metri. Quando venne usata la pietra tagliata e si conobbe la calce, lo spessore dei muri si ridusse a 40 cm. e le pietre murate in unica fila vennero concatenate con la calce e la terra. I muri esterni, prima inclinati, vennero edificati a piombo, l’altezza dei due tipi di dammuso si aggira sui 4 metri, cupole escluse. Nei dammusi vi sono tante cupole quante sono le stanze. Quasi mai intonacati all’esterno, mostrano le pietre scure a faccia vista senza che le connessure vengono stuccate con malta di calce o pozzolana. Poche le aperture e di piccole dimensioni, per combattere il freddo e il caldo, anche se il dammuso è una costruzione termo-regolata ed acusticamente protetta per i suoi materiali lavici e per le dimensioni dei muri e dello spessore delle volte. Solitamente si accede al dammuso, che è di forma rettangolare, attraverso un viottolo erboso e ad accoglierti vi è: “u passiaturi, u pirterra”, cioè una terrazza dal pavimento di balate o di coccio dotato di comode “ducchene” ossia di sedili in pietra mattonati e con spalliere Nel “Passiaturi” c’e’ “a vucca da isterna” Sulla terrazza si affacciano, il più delle volte, “gli occhi d’archetti”, cioè due archi a tutto sesto di un ambiente luminoso con tre porte, due frontali ed una a sinistra di chi vi accede e che immette in cucina, il cuore della casa di un tempo, perchè si svolgeva la vita di tutta una giornata di lavoro e radunava di sera la famiglia attorno al tavolo. Nella cucina spaziosa, davanti alla finestra, ricoperti di mattonelle di maiolica e di solito, “u furnu” per il buon “pane di casa“. Generalmente il forno si trova o accostato al dammuso o dentro un vano, accessorio cucina. Accanto alla cucina, dove vi è sempre un armadio a muro con o senza porta “u stipu a muro” vi è un magazzino “u macaseno” deposito di malaga, bionda, carne di maiale, provviste invernali e vino (la moderna dispensa). Il soffitto della cucina, del magazzino e delle altre stanze è a volta. Diversi sono i tipi di volta: a botte, a capanna, a crocera, a vela, con lunette e a volta reale. La volta a botte è la più antica e scarica il peso sulla muratura longitudinale, è leggermente arcuata per permettere all’acqua piovana di raccogliersi e di defluire nella cisterna. Variante del tetto a botte il tetto a capanna, tipico delle chiesette di campagna. Fino al secolo XVII si costruirono questi due tipi di volte. Con l’avvento della calce si realizzò la copertura a cupola, a crocera, a vela e a lunetta. La volta reale, che scarica il suo peso lungo tutto il perimetro della costruzione, è formata da quattro spicchi che convergono in un unico punto centrale della stanza. La volta a lunetta geometricamente più complessa, scarica il suo peso agli angoli dell’edificio. E’ formata da più spicchi impostati su quattro archi, nel loro andamento regolare verso il centro formano una ricca composizione di linee. Dato rilevante di un dammuso è il pavimento che in tempi antichissimi era di terra cotta dalle dimensioni 20×20, in quelli meno antichi di maiolica. Sulla porta, in alto, del dammuso fra l’arco e l’asse di legno, la “sardetta”, un piccolo ripostiglio per riporre cibo o arnesi. Nel dammuso, in un posto nascosto, il pantesco riponeva il denaro e gli oggetti d’oro. Siamo di fronte alla “truvatura” una vera cassaforte. Era abitudine tenere il denaro anche sotto un mattone del pavimento. Lasciamo la cucina e passiamo nella sala dalla quale si va, attraverso la porta, negli archetti, cioè nell’ambiente spazioso e illuminato a giorno. Dalla sala si va anche nella “Kammara” ambiente spazioso e illuminato a giorno. “Arkova” è un piccolo nido d’amore dove trova sistemazione solo il letto matrimoniale. Camera da letto dall’arco a tutto sesto e dal soffitto più basso rispetto agli altri, priva di finestra “cammarino”, una seconda stanza da letto priva di finestra “cantaru”, per i bisogni notturni nel dammuso non c’era bagno, di giorno di andava sotto un albero Poco distanti dal dammuso sorgono per gli animali piccoli costruzioni dai muri a secco e dal soffitto a volta: “U sarduni” per l’asino o il mulo; “U ghirbeci” per la capra; “U zacchinu” per il maiale; “U gaddrinaru” per le galline “A cunigghiera” per i conigli Adiacenti al dammuso: “U vagnanu” cioè l’orto “L’aira” di forma circolare, aveva nel suo centro un palo per sostenere un legno che veniva legato all’asino bendato per la trebbiatura “U stinnituri” di forma rettangolare racchiude uno spazio in terra battuta, protetto dal lato più lungo da un alto muro a secco e lateralmente da due muri inclinati. Nello stenditoio si dispongono ancora oggi i grappoli di zibibbo per farli essiccare al sole onde ottenere la malaga, necessaria per la produzione del passito di Pantelleria. Si dispongono anche i grappoli di zibibbo già immersi nella soluzione bollente di acqua e potassa per avere la bionda. Per tale motivo vicino allo stenditoio c’e’ il fornello fatto di pietre murate con taio (fango). Accanto al dammuso: “U Jardinu” cioè il giardino, di forma cilindrica e dai muri a secco. La sua paternità secondo il notaio D’Aietti

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || “Pantelleria, uno scrigno di biodiversità”

A dispetto dell’assenza di sorgenti Pantelleria è un’isola Giardino che è scrigno di biodiversità. Fenici, saraceni, arabi, bizantini, che nell’Isola hanno vissuto, hanno lasciato testimonianze indelebili nell’isola, battezzata Bent el Riah ovvero “figlia del vento”. Un vento che, insieme alla scarsità – più vicina all’assenza – di risorse idriche ha esortato i panteschi a realizzare tecniche e accorgimenti per preservare il territorio e garantire la sopravvivenza sull’Isola. A renderla così fertile è stato, col passare dei secoli, il lavoro degli uomini che l’hanno abitata con l’aiuto della sua natura vulcanica, del gioco delle correnti umide e dei dammusi, le abitazione tipiche dell’Isola più vicina alla Tunisia, dalla quale dista 65 chilometri, che alla Sicilia distante 110. L’acqua che rende fertile e verde Pantelleria, infatti, è quella raccolta nelle cisterne collegate ai tetti tondeggianti e lisci dei dammusi, il più importante lascìto degli arabi, sui quali l’umidità della notte si condensa. Pantelleria e la biodiversità Dalla macchia mediterranea alle foreste della Montagna Grande, dalle orchidee alle erbe medicinali, Pantelleria è un tripudio di colori e profumi. Pantelleria è uno speciale ecosistema nel cuore del Mediterraneo. Un’isola vulcano che custodisce un patrimonio naturalistico unico per varietà e biodiversità, oggi protetto come Parco nazionale. A metà strada tra la Sicilia e le coste nordafricane, la sua storia millenaria ha portato fino ai nostri giorni un caleidoscopio di colori e profumi. Lungo i sentieri del Parco si può ripercorrere ed entrare in contatto con questa storia millenaria. Nel parco sono presenti ben 63 specie rare e 13 endemiche. Tra queste ultime, ben due specie di Limonio sono visibili sulla riva del Lago Specchio di Venere e – lungo la costa – tra Arenella e Punta Tre Pietre, mentre la Serapias cossyrensis, un’orchidea, compare a partire da una quota di 300 metri fino agli 836 della Montagna Grande. Pantelleria riserva sorprese anche agli appassionati di erbe medicinali. Crescono infatti spontaneamente lungo i sentieri e nei campi tre varietà di camomilla – Anthemis Nobilis, Anthemis Arvenis e Anthemis Secundiramea – e il tarassaco, con le classiche foglie a dente di leone, utilizzato nella tradizione pantesca per le proprietà diuretiche. Nei 6500 ettari del parco, l’isola preserva una varietà di specie vegetali e di ecosistemi che è unica nel Mediterraneo.

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 “La vite ad alberello e l’agricoltura eroica dei panteschi”

Il 26 novembre 2014 a Parigi l’UNESCO ha dichiarato la “Pratica agricola della coltivazione della vite ad alberello, tipica dell’isola di Pantelleria”, patrimonio immateriale dell’umanità. Il riconoscimento è stato approvato all’unanimità da tutti gli Stati parte dell’UNESCO. e si tratta della prima pratica agricola al mondo ad avere ottenuto questo prestigioso riconoscimento. Tale riconoscimento ha premiato i sacrifici eroici del popolo pantesco che sfida condizioni ambientali estreme, legate alla costante presenza dei venti e alla scarsa piovosità, compensata da una forte umidità. Grazie alla dedizione dell’uomo si ottengono frutti straordinari, unici. Nel susseguirsi delle generazioni, è stato possibile perfezionare pratiche di resistenza alla fatica, di cura delle piante, di adeguamento alla varietà del suolo, che sono la forza della cultura rurale pantesca. Lo stesso vitigno coltivato in Sicilia o in altre parti dell’italia produce uva ben diversa sia per sapore che per consistenza, il tutto dovuto alla combinazione “terra, sole, mare, condizione climatiche e ambientali”. Nella stessa isola il prodotto è diverso da contrada a contrada e da appezzamento ad appezzamento di terreno. Le uve qui assumono delle connotazioni uniche grazie agli sbalzi termici tra il giorno e la notte, grazie al suolo e la magnifica luce che pervade ogni cosa Popoli diversi ma uguale scelta di vita: agricoltori e non marinai Gli uomini che nei millenni sono sopraggiunti su quest’isola al centro del Mediterraneo nel Canale di Sicilia, Sesioti, Fenici, Cartaginesi, Romani, Bizantini e Arabi, Spagnoli sono tutti diventati agricoltori, sviluppando tecniche agronomiche particolari ed uniche per preservare le coltivazioni e consentire la loro stessa sopravvivenza. La vite la cui presenza sull’isola è millenaria fu introdotta dagli Arabi ma non per produrre vino ma per l’appassimento e come uva da tavola. Coltivazione della vite ad alberello La vite, nella forma dell’alberello pantesco, viene coltivata in conche profonde circa 20 cm, utili per accumulare l’acqua piovana e proteggere i grappoli dal vento. La tecnica di coltivazione, introdotta dai fenici, è particolarmente articolata e prevede esclusivamente l’intervento della mano dell’uomo, fino alla vendemmia che comincia a fine di luglio. Le uve zibibbo, ricavate da questi vigneti, rappresentano la materia prima per la vinificazione del pregiato Passito di Pantelleria. Ulivi striscianti grandi come una casa Gli ulivi a Pantelleria vengono coltivati in un modo unico al mondo, sono striscianti cioè le branche toccano il suolo per sfuggire al vento che soffia sempre a Pantelleria e grandi come una casa. Questo vuol dire che le olive non possono essere raccolte neppure con le reti ma una ad una! La varietà di olive sono la Biancolilla, che si presta a essere allevata in questo modo, la vecchissima Giarraffa presente dal periodo arabo e poi nell’ottocento innestata soprattutto a Biancolilla, la Nocellara, famosa come oliva da mensa ma che garantisce un olio straordinario e, soprattutto, olivastro i cui frutti sono piccolissimi. La miscela garantisce stabilità all’olio. Così come l’alberello della vite, l’albero di ulivo viene fatto crescere basso per impedire al vento di distruggere la fronda. Per far ciò vengono “impiccate” le pietre ai rami, in altre parole i contadini legano i rami a pietre che spingono i rami verso il basso, obbligandole ad allargarsi in modo strisciante sul terreno. I capperi di Pantelleria Una testimonianza di agricoltura difficile ed eroica, insieme alla coltura della vite ad alberello, è quella dei Capperi di Pantelleria. Conosciuto sin dall’antichità, ne parlano infatti già autori come Dioscoride e Plinio, nell’isola vulcanica al centro del mediterraneo il cappero ha trovato il suo habitat ideale. La pianta di Cappero è un alberello che, dalla primavera all’autunno, produce i capperi lungo i propri rami che possono raggiungere anche i due metri di lunghezza. Per questo, nei cappereti, terreni dove si coltivano i capperi, le piante sono disposte ad una certa distanza l’una dall’altra. Da Maggio a Settembre si raccolgono i boccioli del cappero che opportunatamente trattati con sale marino arrivano nelle nostre tavole Sia il Ministero Italiano delle Risorse Alimentari con decreto 2 Dicembre 1993, sia l’Unione Europea con reg.CE N.1107/96, hanno riconosciuto la superiore qualità del cappero di Pantelleria con la I.G.P

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 “Pillole di Storia della Perla Nera del Mediterraneo”

In un piccolo fazzoletto di terra, troviamo un pò di tutto, grotte e faglie, sorgenti termali e favare (emissioni naturali di vapore acqueo), altipiani e laghi vulcanici. L’isola è varia ma soprattutto bella. Di una bellezza che ti conquista subito per via di queste rocce scure che si nascondono dentro al verde, per via della vegetazione che il vento mantiene bassa, per le costruzioni ancora discrete (e speriamo che si mantengano tali) che punteggiano il paesaggio senza stravolgerlo, caratterizzate dalle cupolette bianche di calce: i dammusi. Amiamo quest’isola per via delle sue vigne. Senza pali, senza fili, senza spalliere, la vigna di Pantelleria è vigna primordiale, sembrerebbe quasi selvaggia e spontanea se questi alberelli, che appena spuntano dalla loro fossa interrata, non fossero così regolari. Ciuffi di foglie protetti dal terreno sabbioso rendono il paesaggio unico. L’altopiano di Mueggen è il miglior esempio del genere, un gigantesco “orto” di viti, arato non dagli animali o dagli attrezzi ma dalla mano dell’uomo che nei secoli ha disegnato con il sudore e il lavoro le migliaia di chilometri di questi muretti a secco, dei terrazzamenti, le curve e le pieghe di questo incantevole paesaggio. La mancanza di sorgenti e le cisterne per conservare l’acqua piovana Il vino è da sempre protagonista dell’isola, ma i veri problemi sono sempre venuti dall’acqua. A risolverli con incredibile sagacia sono state le diverse civiltà che si sono succedute nell’isola, prima fra tutte i fenici. Il loro sistema di cisterne e canalizzazioni per raccogliere, non disperdere e conservare l’acqua piovana, non solo è mirabile, ma estremamente efficiente. I fenici hanno disseminato l’isola di centinaia di cisterne vetrificate con pasta di cocci e ossidiana. Un sistema che ha permesso la sopravvivenza della popolazione, il diffondersi dell’agricoltura e che funziona perfettamente anche oggi. Negli ultimi decenni la tecnologia è venuta incontro al problema e l’impianto di desalinizzazione dell’acqua marina rappresenta certo uno dei più significativi cambiamenti alla vita dell’isola, permettendo una forte presenza di turismo estivo senza troppi problemi, ma le cisterne funzionano ancora e in alcune zone più remote dell’isola sono sempre loro il cardine essenziale per mantenere vivo il tessuto agricolo originale. Isola di agricoltori Un’isola dove al mare si preferisce la terra, dove la strada perimetrale passa in genere alta e lontana dalla costa, e i pochi (e brutti in genere) alberghi, salvo poche eccezioni sono nei centri abitati o a mezza costa. Qui ancora i dammusi si disperdono nel verde e raramente arrivano a mare, e l’agricoltura rimane più importante della pesca. Uno dei piatti più amati è il coniglio e soprattutto le mille verdure che gli orti offrono nelle varie stagioni. Verdure che per la poca acqua crescono a fatica, ma sono cariche di sole e sapore. Provate i piatti tipici, ma non tanto i crostacei e la cernia (peraltro squisita) , ma il coniglio, e meglio ancora la “sciakisciuka” un misto caldo di verdure cotte al forno, il “cucurumma” a base di zucchine e così via. La materia prima degli utensili da lavoro per millenni L’Ossidiana ha fatto per millenni la fortuna di Pantelleria. Roccia dura a spigoli vivi, nera e spesso translucida, è stata la materia prima degli utensili di lavoro per millenni. Oggi queste pietre segnano per migliaia di chilometri i campi, ne definiscono i percorsi e i confini, le migliaia di appezzamenti. La proprietà è frazionata al massimo, ogni contadino ha il suo orto, il suo vino, nato come alimento per le stagioni fredde. I SESI Le mani dell’uomo piccole ma grandi nello stesso tempo perchè capaci, se guidate dalla creatività, di monumentali gioielli. A testimonianza nell’isola di Pantelleria ci sono dei monumenti funebri chiamati SESI che architettonicamente hanno molto in comune con i Nuraghi sardi e risalgono circa al 5000 A.C. Essi sfidano lo scorrere dei secoli, indicando all’uomo di oggi, quasi a monito, l’abilità edilizia nonchè le capacità intellettive del primo insediamento umano a Pantelleria. Da dove venisse il popolo preistorico, autore di tali costruzioni, non si sa; si possono fare delle supposizioni e pertanto risultano diversi i pareri degli studiosi. Che fossero Fenici o Pelegi – Tirreni come riteneva l’Arciprete D’Aietti o Siculi secondo la tesi del Dott. Rosario Salvo di Pietra Gansili o infine Iberici ha un’importanza relativa. Significativo è il fatto che questo popolo si stanziò nell’Isola, attratto certo dall’ossidiana “la preziosa roccia con cui si confezionavano nel neolitico le armi più eccellenti e i più eccellenti strumenti di taglio” e si rilevarono provetti maestri nell’arte della muratura come lo attestano i Sesi. Monumento di forma ellittica, alto quasi sei metri, il Sese del Re ha tre ripiani a differenti altezze e s’innalza in una plana desertica, costellata di magma che, pietrificandosi, prese nella notte dei tempi, forme che danno alimento alla fantasia del visitatore. La tecnica di muratura è a “casciata” e tali costruzioni a cupola o a tronco di cono presentano delle aperture esterne rettangolari che permettono di penetrare a carponi attraverso un corridoio nelle celle. Il Sese del Re, ha dodici celle più docici corridoi ed undici ingressi; si suppone che dovette essere il sepolcro del capo dei Sesioti. L’Orsi parla di ben cinquantasette Sesi, escludendo quelli distrutti dall’uomo. Ogni Sese ha un numero di ingressi che vanno da due ad undici; la loro altezza non supera un metro, i corridoi sono stretti e lunghi circa sette metri conducono nelle rispettive celle rotonde le cui dimensioni variano anche nello stesso Sese. In ogni cella veniva adagiato il defunto rannicchiato e con il capo verso occidente. Il Sese catalogato dall’Orsi al numero trentuno “…aveva il suo deposito intatto”, un solo scheletro adagiato, gli arti rattratti, col cranio a ponente ed i piedi verso lo sbocco della galleria…” Il lento scorrere dei secoli non ha deturpato la bellezza di questi capolavori, unici al mondo, che inculcano un senso di religiosità. In anni recenti (1997-2008) le ricerche di Fabrizio Nicoletti e Sebastiano Tusa hanno permesso di individuare nuovi Sesi, due dei quali hanno per la prima volta restituito deposizioni funerarie integre. Nell’abitato di MURSIA sono

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 “Il sito archeologico di Cala Tramontana”

Al largo di Cala Tramontana, tra giugno e Agosto 2011 a 22 metri di profondità sono state ritrovate 3.418 monete di bronzo della seconda metà del terzo secolo A.C. oltre ad anfore, ancore e vasellame. Le monete tutte eguali, recano una testa di donna con lo sguardo rivolto verso sinistra e l’acconciatura sostenuta da una corona di grano, rappresentante la dea Tanit protettrice di Cartagine. Nel rovescio c’è una testa di cavallo che guarda a destra. Il ritrovamento, al di là del mero valore economico, è da considerare di importanza storica, in quanto certifica l’avvenuta conquista da parte dei romani dell’isola, documentata insufficientementedalla nomenclatura storica dell’isola. Polibio: conquista di Pantelleria da parte dei romani nel 217 a. C. Francesco Spaggiari,  l’esploratore subacqueo di “Pantelleria Ricerche”, il consorzio che ha effettuato le ricerche subacquee a Cala Tramontana, effettuò  la clamorosa scoperta del tesoretto di monete di bronzo puniche. In merito al ritrovamento lo stesso spiegò che “Il sito è conosciuto dal 2004.  In quell’anno sono stati denunciati e portati in evidenza una serie di reperti. Li ho scoperto e denunciato io. Nel 2004, le prime cose che erano venuti fuori, erano dei resti di un’anfora punica che comparivano dalla sabbia e dei sassi molto grandi che potevano rappresentare la zavorra di una nave. Erano dei parallelepipedi di una roccia, che non era pantesca, uno vicino all’altro, che meritavano di essere indagati Allo stesso tempo, all’inizio del progetto  “Arcus” che stiamo realizzando con il consorzio “Pantelleria Ricerche” mirato all’approfondimento delle conoscenze di quello che c’è in questa baia, le prime fasi prevedevano l’inizio della supervisione del sito per rendersi conto di come erano distribuiti i reperti. Durante la seconda immersione in un fondale molto sabbioso, sotto una roccia il mio occhio è caduto sopra un qualcosa di verde fosforescente. Questo verde, per me, è significato qualcosa che valeva la pena essere indagato. Allora sono sceso ed ho scrostato leggermente la sabbia e quel verde si è rilevato essere una moneta. Di lì a poco di queste monete ne sono venute fuori altre quattro. Una volta emerso ne ho parlato con il dottor Abelli che è il direttore scientifico del progetto e membro del consorzio “Pantelleria Ricerche”, e si è deciso di fare un’altra immersione per vedere cosa davvero si celava sotto la sabbia. Si sono susseguite tre immersioni e all’interno di queste immersioni oggi possiamo contare più di 1500 monete ritrovate”.  Sinergia e sinergie nella archeologia subacquea Il professor Pier Giorgio Spanu,  dell’Università di Sassari, con alcuni studenti ha partecipato allo scavo subacqueo di Cala Tramontana a dimostrazione di come si può lavorare in sinergia nel campo della ricerca, della tutela e della didattica.  Lo scavo didattico diede l’opportunità agli studenti dell’università della scuola di specializzazione in archeologia subacquea dell’ateneo sassarese, e del dottorato di ricerca in storia e cultura del Mediterraneo antico, di formarsi. L’allora Ministro della Salute Ferruccio Fazio, cittadino Pantesco : “Eravamo sicuri che ci fossero dei reperti importanti sul fondo della Cala. C’è ancora molto da scavare, ci sono molte cose interessanti là sotto. Pantelleria nel terzo secolo avanti Cristo era proprio il punto di incrocio dei traffici tra Roma e Cartagine. Sia per il maltempo, sia in alcuni momenti in cui c’erano delle battaglie tra flotte cartaginesi e puniche contro i romani, è naturale che molte navi siano affondate”.  

🚩|| 𝐑𝐀𝐃𝐈𝐎 ® 𝐏𝐀𝐍𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄𝐑𝐈𝐀 || 🚩 “L’isola Ferdinandea”

Nel mese di Luglio del 1831 a circa 16 miglia a sud -ovest di Sciacca e a 29 miglia da Pantelleria, è emersa dal mare una nuova isola, alta una sessantina di metri e con un diametro di circa un chilometro. Il cratere aveva due bocche eruttive e lungo le pendici due laghetti colmi di acque sulfuree in ebollizione. L’evento era stato preceduto da alcune scosse sismiche tra Trapani, Palermo e Sciacca, piccoli terremoti che aprirono crepe nei muri delle case e causarono la caduta di tegole e calcinacci. Il primo a vedere la nuova isola sorta dal mare, mentre “sputava in cielo cenere e lapilli” fu Francesco Trifiletti capitano della nave Gustavo. Dispute per la sovranità territoriale dell’isola. L’isoletta suscitò subito l’interesse di alcune potenze straniere europee, che nel mar Mediterraneo cercavano punti strategici per gli approdi delle loro flotte, sia mercantili che militari.Gli inglesi ad Agosto di quell’anno la dichiararono possedimento britannico e gli diedero il nome di Graham. A settembre i francesi inviarono il geologo Constant Prévost, che a sua volta issò il tricolore sull’isola e la battezzò Juliain, in quanto emersa a luglio. A quel punto, il re Ferdinando II delle Due Sicilie, mandò sul posto la corvetta Etna ai comandi del capitano Corrao, il quale approdò sull’isola e, piantandovi il vessillo borbonico, la chiamò Ferdinandea . Scomparsa dell’isola Ferdinandea attualmente “Banco di Graham” Essendo composta prevalentemente da tefrite, materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall’azione delle onde, l’isola Ferdinandea non ebbe vita lunga, l’8 dicembre, così com’era nata, sparì sotto i flutti tra alte colonne di vapori Attualmente l’isola Ferdinandea è una vasta piattaforma rocciosa situata a soli 7 metri di profondità tra Sciacca e Pantelleriaed è cartografata come Banco Graham. Recenti ricerche oceanografiche hanno evidenziato come “l’isola che non c’è” costituisca, con i vicini banchi Terribile e Nerita, uno dei coni accessori del gigantesco vulcano sottomarino Empedocle, che si innalza a circa 500 metri dal fondo del Mediterraneo. Targa in pietra che indica l’appartenenza dell’isola al popolo siciliano Con il terremoto del 1968 nella valle del Belice le acque circostanti il banco di Graham furono viste intorbidirsi e ribollire, cosa che venne interpretata come un probabile segnale che l’isola Ferdinandea stesse per riemergere Un gruppo di sub siciliani colse l’occasione per posare sulla superficie del banco sottomarino una targa in pietra, sulla quale si legge: «Questo lembo di terra una volta isola Ferdinandea era e sarà sempre del popolo siciliano.»  

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